Monday, June 04, 2007

A TU PER TU CON IL MASSONE

A TU PER TU CON IL MASSONE
SEGNI DELLA MASSONERIA FUORI E DENTRO I PALAZZI LECCESI

Fra i meandri del Barocco leccese, sulle facciate e negli angoli di antichi palazzi e perfino fra i tetti delle case, la storia racconta di un’antica ma ancora viva tradizione massonica che è nel Dna della Terra d’Otranto. I simboli della Libera Muratoria sono talmente evidenti che, come spesso accade, diventano invisibili agli occhi dell’osservatore distratto che mai si sofferma ad ascoltare quello che la città racconta attraverso la pietra. Se a Lecce c’è un luogo in cui è possibile cercare aiuto per orientarsi in questo universo di segni misteriosi, questo è lo studio del professore Mario De Marco: giornalista, critico d’arte, storico, filosofo, e soprattutto orgoglioso massone. Circondato da libri, scartoffie e importanti documenti storici, a pochi passi dalla Casa massonica di Lecce (in piazzetta della Luce), De Marco può suggerire dove andare a cercare: “Sull’architrave di Santa Croce sono raffigurati dei putti che reggono un regolo e un compasso, secondo alcuni, inoltre, il profilo in basso rilievo alla sinistra del rosone potrebbe rappresentare il Baphomet, e non il volto di uno degli scultori della Basilica, Giuseppe Cino”. Sulla facciata del monumento più noto e rappresentativo del Barocco leccese, quindi, ci sarebbe più di un richiamo alla cultura massonica, e persino la raffigurazione del Baphomet, un idolo noto anche ai seguaci dell’occultismo, il cui nome si può ritrovare nei verbali dei processi inquisitori ai quali furono sottoposti i Cavalieri Templari intorno al 1314.
Su un muro esterno del palazzo Lopez y Royo, la prima casa massonica nata a Lecce nel 1805, oggi sede dell’Istituto per i Ciechi, ritornano due chiari simboli massonici: il compasso e il filo a piombo. Non solo, De Marco sa bene che volgendo le spalle al portone di quel palazzo e alzando lo sguardo al cielo, verso l’edificio di fronte, si può individuare “uno strano comignolo, ossia la parte terminale di un Atanor”. Si tratta, come spiega De Marco, del “crogiuolo alchemico che rende possibile il Solve et coagula”. Come l’alchimista cerca di ricavare l’oro dai metalli impuri, così il massone cerca di depurare l’anima umana dalle scorie per ritrovarne la purezza. L’Atanor è effettivamente lì. Fra le antenne televisive delle case e le canne fumarie delle caldaie si distingue chiaramente e si offre al nostro sguardo in tutto il suo affascinante mistero. Sembra di essere in un romanzo di Dan Brown, un romanzo che è sempre stato scritto davanti agli occhi dei Leccesi, ma che in pochi sono riusciti a leggere.
Magistrati, avvocati, funzionari e frequentatori del Palazzo di Giustizia di Lecce forse non sanno che davanti al loro naso, sul prospetto dell’Istituto d’Arte G. Pellegrino, in viale De Pietro, la massoneria ha lasciato altre (ma non uniche) inequivocabili tracce, altre prove della sua presenza e del suo potere in città. Un potere talmente forte da essere capace di resistere nei secoli alle persecuzioni della chiesa cattolica e a quelle del fascismo, inflessibile (come tutti i totalitarismi) nei confronti degli appartenenti alle Logge, considerati oppositori del regime.
La massoneria appare come una creatura a due facce, un po’ come viene descritto il Baphomet: da un lato l’immagine di una cerchia di uomini colti, “tesi alla ricerca razionale e intuitiva dei simboli e del loro significato esoterico”, intenti a edificare un solido tempio interiore con gli strumenti della conoscenza antidogmatica; dall’altro lato, non mancano, come in ogni umana istituzione, affaristi e arraffoni unicamente interessati al proprio tornaconto, al miglioramento della propria condizione e non a quello dell’uomo e della società. “Tuttavia - Dice De Marco – certi episodi riguardanti la Massoneria lasciano sconcertati e perplessi, e questo è il caso della P2 e del suo Venerabile Maestro Licio Gelli, che si trovò invischiato in oscure trame di interessi e di politica, che nulla avevano a che fare con la tradizione e l’insegnamento Liberomuratorio. E’ ovvio, quindi, che all’esterno l’immagine della massoneria venisse offuscata e guardata con sospetto, ma l’Istituzione ha saputo liberarsi di gente di tal fatta, considerata, pertanto, come apostata dell’iniziazione.
Val la pena ricordare – aggiunge – che il Massone deve credere in Dio e nell’immortalità dell’anima, che giura di rispettare la Costituzione e le leggi che ad essa si conformano e che, nei templi, è assolutamente vietato parlare di politica e religione”.
A sentire Mario De Marco i massoni a Lecce sono molti di più di quanti si possa immaginare e, infatti, come documentato dallo stesso De Marco in un suo recente volume (Storia della massoneria di terra d’Otranto) le logge leccesi in attività sono ben sette se si considerano solamente quelle che fanno riferimento al Grande Oriente d’Italia: la Loggia “Liberi e Coscienti”, la “Giuseppe Libertini”, la “W. A. Mozart”, la Loggia “Hermes”, la “Antonio De Curtis”, la Loggia “Atanor” e la Loggia “Ars Regia”. A queste vanno aggiunte, poi, quelle obbedienti a Palazzo Vitelleschi e quelle femminili. Sull’identità degli iscritti alle logge vige un certo riserbo, anche se questa è, secondo De Marco (che tra pochi mesi darà alle stampe un volume dove si troveranno i profili biografici e massonici di ben 1000 salentini), una peculiarità tutta italiana, perché “l’Italia è ancora un feudo della chiesa Cattolica e nel nostro Paese vige ancora l’Ancient Regime”. La segretezza, quindi, non sarebbe una prescrizione dello “Ius massonico”, bensì una scelta dei singoli massoni (molti dei quali sono personaggi pubblici o ricoprono ruoli di rilievo nella società) che non rivelano volentieri la propria adesione alla Libera Muratoria perchè lo ritengono in qualche modo sconveniente e preferiscono non esporsi. La Procura della Repubblica di Lecce possiede tuttavia, come precisa De Marco, gli elenchi degli iscritti alle logge, che quindi non hanno più nulla di segreto se non le attività rituali che si svolgono nel chiuso del tempio. Il mistero, però, rimane, ed è forse proprio questo che consente alla Libera Muratoria di suscitare ancora sentimenti contrastanti che vanno dal profondo disprezzo di molti “profani” che vedono nella massoneria un potere malvagio implicato nei capitoli più oscuri della storia italiana (per rimanere in Italia), alla grande devozione verso ideali e principi di natura morale e metafisica. Rivolti, per usare le parole del professore Mario De Marco, ai “principi di libertà, fraternità e uguaglianza nonché al miglioramento di ognuno per il bene proprio, dell’umanità e a onore e gloria del Grande Architetto dell’Universo”.

NEL MICROCOSMO DI VINCENT, STORIA E VISIONI DI UNA PECORA NERA


NEL MICROCOSMO DI VINCENT, STORIA E VISIONI DI UNA PECORA NERA

Vincent il pazzo, Vincent il genio, il mito, il visionario, l’artista. “Sono uno dei più grandi fuori legge d’Italia - esordisce - perché sono un illegale nato, faccio tutte le cose così come mi vengono in mente e questo non piace a chi ci vorrebbe vedere tutti incanalati. Ce ne sono troppi che sono incanalati, e allora qualcuno che fa la pecora nera ci vuole. Io sono una pecora nera, ma fortunato, perché tante pecore nere hanno pagato con la vita il prezzo della loro libertà”.
Un personaggio controverso Vincent Brunetti, che nel suo eremo a Guagnano riceve ogni giorno decine, a volte centinaia di visitatori: curiosi, appassionati d’arte, compaesani e turisti che arrivano ormai anche dall’estero per vedere, per toccare con mano “l’isola di pace” che Vincenzo Maria Brunetti ha inventato in una dimenticata periferia italiana.
Adesso Vincent vende le sue tele, si guadagna da vivere e sembra felice, ma non è facile essere un diverso in paese. In una piccola comunità come Guagnano ci vuole poco per diventare lo zimbello di tutti, “lo scemo del villaggio”, uno di quegli esseri umani il cui genio artistico viene riconosciuto dopo la morte, preferibilmente quando questa arriva in circostanze tragiche e non di rado in solitudine. Non è questo il destino di Vincent, e lui ne è fiero: “Non sono più il diverso di Guagnano – dice con orgoglio – prima mi additavano, ora non mi dicono più niente, perché porto il turismo in paese. Io, a differenza di altri artisti, sono stato più intelligente, ho capito che dovevo avvicinarmi alla gente, perché la gente ha bisogno di qualcuno a cui affidarsi, così come fa quando va dal prete. Quando la gente ha bisogno di soddisfare il suo bisogno estetico che ha nell’anima va dall’artista. Ma quando l’artista non capisce questo bisogno respinge gli altri e finisce per rimanere solo”. Ora anche la critica lo innalza e tenta di collocarlo in una corrente (il trans-avanguardismo) ma è realmente impossibile incasellare Vincent e le sue opere: sarebbe un torto fatto a lui e alla sua arte. Certo è che Vincent è figlio di un’epoca, quella iniziata con i capelloni che volevano mettere i fiori nei cannoni e terminata con il piombo delle P38. Ma la “libellula del sud”, così Vincent era soprannominato, non ha mai smesso di sognare l’isola di White, la sua Itaca, e a 45 anni, nel 1995, ha pensato di costruirla veramente: a Guagnano. I grandi eroi di quella generazione sono morti, spiega, alcuni assassinati, altri a causa della droga, “quelle manifestazioni e quelle lotte, le sparatorie, non hanno portato a niente, eppure nella storia c’è stato un cambiamento. Quei grandi uomini hanno lanciato in mare una bottiglia con dentro un messaggio e io l’ho trovato. Ho capito di essere un predestinato e un privilegiato in quanto sono stato il frutto più bello del sistema democratico, un sistema che ha commesso tante ingiustizie, però ha creato Vincent”.
Tutto è iniziato dopo una “rivelazione divina” come racconta l’artista. Un evento cardine nella vita di Vincent martoriata dalle piaghe della poliomielite. L’incontro con Mariano Orrico, il commercialista di Voghera che dice di aver scoperto una terapia per questa malattia: una lamina miracolosa che strofinata su una pelle di pecora sprigiona un’energia benefica per il corpo e per la mente. “Questa pelle è il mitico vello d’oro - sostiene Vincent - quello narrato dagli antichi greci. Orrico ha scoperto che esiste davvero e mi ha ridato la speranza di vivere, camminare e correre”. Improvvisamente Vincent si alza e inizia a volteggiare disegnando dei cerchi nell’aria con le braccia e con le gambe. L’energia elettrostatica alla quale quotidianamente espone il suo corpo “è come un narcotico – dice – e mi fa stare bene”. A dodici anni di distanza da quell’incontro Vincent si sente ancora in debito con l’uomo che con questa stravagante terapia gli ha cambiato la vita. Ma il rapporto con l’arte nasce nell’infanzia, quando a soli 11 anni Vincenzo Brunetti fa il madonnaro nelle feste patronali, accompagnato dallo zio. Poi la malattia e i problemi economici lo strappano alla sua terra e lo portano a Roma, a Torino e a Milano “la città mostruosa” dove l’artista vive il suo momento di notorietà e apprende le tecniche scultoree da Manzù e Messina, suoi maestri. Ottiene anche dei riconoscimenti per le sue opere, ma Vincent è un treno in corsa, decide di stabilirsi nei pressi di Noci, in un trullo in aperta campagna. Qui sfida apertamente la chiesa, inizia a celebrare messa, accoglie i disperati e si guadagna gli anatemi del vescovo che gli proibisce di svolgere attività religiosa. Correva l’anno 1979 e probabilmente già in quel trullo Vincent prefigurava quella che sarà la sua oasi di pace oggi fruibile da tutti nella periferia di Guagnano.
Una grande capacità di comunicare, un estro senza limiti, un’energia fuori dal comune permettono all’artista di guadagnarsi l’affetto della gente, di tutte le estrazioni sociali, che lo ricambia andandolo a visitare. Gradualmente i contatti fra Vincent e il mondo esterno si riducono sempre di più. Nella sua isola c’è tutto quello di cui l’artista ha bisogno, in quel castello costruito con materiali di risulta c’è l’anima di Vincenzo Maria Brunetti, fuori solo l’orrore. E’ attraverso le venezie che dipinge che la “libellula del sud” viaggia oltre le mura della sua fortezza, attraverso gli altri arrivano le notizie del mondo, e questo è ancora più vero da quando cinque anni fa Vincent ha detto addio anche alla televisione, dopo un’esternazione galeotta di Bruno Vespa che lo fece infuriare. In antitesi con il pensiero di Vincent, infatti, il conduttore di Porta a Porta aveva affermato che l’arte non fa aumentare l’audience, perché appartiene a pochi eletti, a una nicchia. Mentre l’artista ricorda quelle parole i suoi occhi si accendono ed esplode la sua ira: “Mi ha dato così fastidio quell’uomo che se avessi potuto l’avrei strangolato senza pietà, l’avrei cementato vivo, e nessuno mi avrebbe detto Vincenzo hai fatto male. C’è gente che è morta per l’arte e nessuno può permettersi di dire quello che ha detto Vespa. Via, uno in meno! Da allora non ho voluto più sapere niente della televisione, perché ho capito quanto faccia male alla gente”.
E’ probabilmente questo il più grande messaggio di Vincent, rivoluzionario nella sua apparente semplicità: l’arte è per tutti, è una divinità che ha bisogno dei suoi profeti. Uno di questi ha un nome: Vincenzo Maria Brunetti o, più semplicemente, Vincent.

Muay Thai, una strada per la vita


Poco più di settanta kg di peso, atteggiamento mite, modi gentili. Un ragazzo come tanti. Attenzione a non provocare, però, perché è in grado con pochi e precisi movimenti del corpo, di spezzare gli arti a un ipotetico e incauto aggressore in cerca di guai. Atleta tenace, vero sportivo ed entusiasta maestro, il Leccese Fabio Siciliani, ha scelto tuttavia il ring per dimostrare la sua forza e quello che sa fare; e lo ha dimostrato conquistando il titolo intercontinentale di Muay Thai, battendo a Bologna (nel novembre 2006) il portoghese Arnaldo Silva. Una storia difficile quella di Siciliani, classe 1981, che all’età di 18 anni è stato messo duramente alla prova dalla vita, quando il destino gli ha portato via il papà. “Ero un ragazzo allo sbando – ammette – non avevo voglia di far nulla. Stavo per strada e ho rischiato di perdermi nelle droghe. Poi l’arte marziale mi ha cambiato la vita, mi ha dato delle direttive e mi ha indirizzato sulla strada giusta”. Il Muay Thai, quindi, è diventato per Fabio Siciliani qualcosa di più di un semplice sport; è stato probabilmente quella ragione di vita che ti spinge a lavorare su te stesso, sul corpo e sulla mente allo stesso tempo, in cerca dell’equilibrio interiore che ognuno di noi insegue, spesso per tutta la vita. Ecco il significato di “Oltrecorpo”, la palestra fondata a Lecce da Fabio Siciliani, un centro culturale in cui non si apprendono solo le tecniche di combattimento, bensì è possibile anche iniziare un percorso che, solo se è seguito fino in fondo, porta alla vera dimensione spirituale della disciplina importata dalla Thailandia. “A differenza di altre arti marziali – ci spiega Fabio Siciliani – che sono prima di tutto filosofiche e poi si passa alla pratica, nella Muay Thai c’è prima molta pratica e poi, se sei degno, se sei bravo e vai fino in fondo, ti regala il suo aspetto spirituale. Per fare un esempio, io non inizio l’insegnamento spiegando perché un particolare calcio significa la tigre che attraversa il ruscello. Sono cose che, se le racconti ai ragazzi della nostra terra, suscitano ilarità, magari ti ridono dietro. Prima li faccio allenare tanto, e questo sacrificio già li aiuta, poi sono loro che pian piano cambiano. In palestra non ho gente con gli occhi iniettati di sangue; ho gente semplice che ha voglia di capire e che capisce non tanto attraverso le parole, ma attraverso il corpo e il metalinguaggio. Questo, nonostante le differenze abissali, accade anche in Thailandia.
Certamente lo scenario italiano è completamente diverso da quello della terra d’origine del Muay Boran (combattimento antico) che da oltre sette secoli fa parte della cultura tailandese, una disciplina che affonda le sue radici nella mitologia indiana e che è nata per trasformare uomini in guerrieri da impiegare nell’eterna lotta contro il vicino birmano. Una tecnica di combattimento che si avvaleva, in origine, dell’uso delle armi (Crabi Crabon), ma che permetteva al guerriero di usare il proprio corpo come arma nel caso in cui l’arma vera e propria fosse andata perduta durante il combattimento. Non parliamo dunque ancora di uno sport, ma di una disciplina a disposizione dell’esercito volta all’annientamento del nemico. Allo stesso tempo, però, il Muay Boran è anche spiritualità e cultura, controllo del proprio io, storia. Una storia che cambia radicalmente negli anni ’30 e ’40 del ‘900 perché, come spiega Siciliani, nasce un business intorno ai combattimenti. Gli europei scommettono (pratica peraltro legale in Thailandia) e i combattimenti sono feroci, cruenti, spesso mortali in alcune zone del Paese. La ferocia non è solo racchiusa in quei colpi che spaccano le ossa, ma è anche e soprattutto una ferocia sociale in un terzo mondo che lascia poche opportunità ai ragazzini e alle ragazzine delle campagne; i soldi facili si fanno in due modi diversi: il combattimento o la prostituzione. Entrambe le vie passano attraverso il corpo e la sua mercificazione.
Ma il Muay Thai (combattimento tailandese) è oggi soprattutto uno sport che ha proprio a Lecce uno dei massimi rappresentanti, un ragazzo che si sta preparando a conquistare il titolo mondiale e che allo stesso tempo sta formando un nutrito gruppo di allievi tra i quali Gianluca Siciliani, Stefano Frontini, Daniele Di Bari e Danilo Pinto che hanno ottenuto importanti vittorie in diverse competizioni nazionali della categoria dilettanti.
Sebbene lo sport, come è facile immaginare, segua delle regole e dei principi di natura etica ben differenti dal combattimento antico e da quello praticato ancora oggi in alcune zone della Thailandia, le origini del Muay Boran sono sempre presenti, così come l’istinto violento che è insito in ogni essere umano. La violenza, secondo il parere di chi scrive, esercita sempre un discreto fascino, tanto più forte quanto più è giovane e arrabbiato l’uomo che lo subisce. Nessuna confusione, però, può essere generata sul Muay Thai, che non è uno sport per violenti, né ha lo scopo di risvegliare il lato violento che è in ciascuno di noi. Al contrario esso insegna l’autocontrollo.
“L’arte marziale – spiega Fabio Siciliani – distoglie il ragazzo da futili idee di violenza. Per strada scoppiano delle risse per i motivi più banali e questo accade secondo me perché non si ha il controllo delle proprie paure e non si conoscono i propri limiti. La violenza individuale, è strettamente legata alle nostre paure. Io dico sempre ai miei ragazzi di difendersi solo quando hanno realmente paura e cerco di insegnare loro un principio fondamentale: quello dell’autocontrollo. Un altro discorso vale per la violenza collettiva che si manifesta ad esempio fuori dagli stadi, e che io definisco come un falò di menti leggere. Quei terroristi della domenica, che si nascondono nel gruppo, sono in realtà dei vigliacchi che non hanno argomentazioni né giustificazioni per quello che fanno”.
Chiarito che il Muay Thai non è stupida esaltazione della violenza, si sottolinea che decidere di dedicarsi a questa disciplina non è, comunque, come giocare a golf o a biliardo (sebbene anche nelle sale da biliardo possano volare i cazzotti) ed è per questo che per intraprendere un cammino simile a quello di Fabio Siciliani è necessaria una forte motivazione interiore, una passione vera e probabilmente anche una rabbia che ti brucia dentro e che, in un modo o nell’altro, attende di essere liberata.


Saturday, July 22, 2006

Il fascino dell'Africa salentina

Da "Carta" del 15/21 luglio 2006
Il fascino dell'Africa salentina



TEATRANTI SCRITTORI E CINEASTI DI TUTTA L'AFRICA ARRIVANO IN SALENTO PER "NEGROAMARO" E LA REGIONE PUGLIESE DIVENTA PER UN'ESTATE LA CAPITALE AFRICANA DELLE ARTI


Una grande quercia, due fiammelle e la gente del villaggio, tutti seduti in penombra ai piedi dell’albero secolare. Non è l’Africa nera, ma Corigliano d’Otranto, Salento. E’ qui che Mandiaye N’Diaye ha portato gli attori del suo villaggio senegalese di Diol Kadd, quel villaggio che lo ha visto partire con il sogno di diventare un grande calciatore in Italia, nel 1982, e che lo ha visto ritornare venti anni più tardi in un'altra veste, quella di attore di teatro, “griot”, come viene appellato in alcune regioni del Senegal chi appartiene alla casta degli artisti. Mandiaye N’Diaye torna con un progetto, quello di portare il teatro lì, a Diol Kadd e alla gente del villaggio “dimenticato dal mondo del quale non c’è traccia sulle carte geografiche” dice in uno spiccato accento romagnolo. La storia di Mandiaye N’Diaye, degli attori e dei musicisti che lo accompagnano e che lo ascoltano seduti sulle rocce ai piedi della quercia vallonea, è uno dei tanti orizzonti aperti da questa sesta edizione della rassegna delle culture migranti “Salento Negroamaro”. Il termometro segna trenta gradi all’ombra nel Salento e dal 15 giugno al 6 agosto 2006 questo estremo lembo del sud Italia diventa un’appendice d’Africa, si trasforma in un polo culturale che è riuscito ad attrarre i più grandi autori del panorama musicale, cinematografico, teatrale, artistico e letterario del continente nero. Grandi nomi: da Capo Verde Cesaria Evora il 13 luglio, dal Senegal Youssou n’dour, il 15 luglio e il 21 luglio arriva invece la Nigeria di Femi Kuti. Accanto a questi mostri sacri si affacciano astri nascenti delle arti e personaggi già noti in Italia, come lo scrittore senegalese Pap Khouma, direttore della rivista on-line di letteratura della migrazione “El-Ghibli” e autore, con Oreste Pivetta, di “Io venditore di elefanti. Una vita per forza fra Dakar, Parigi e Milano”. Anche Pap Khouma, ai piedi della grande quercia di Corigliano, racconta il suo Senegal, parla dell’Animismo, tema del suo ultimo romanzo: “Nonno Dio e gli spiriti danzanti”. Lo fa davanti a una folla di gente semplice, quasi al buio, in un paesino di cinquemila anime che per dieci giorni ha accolto gli ospiti africani con un calore meridionale e con curiosità ne ha seguito i movimenti e le esibizioni, fra i vicoli stretti e colmi di figure barocche, nel castello quattrocentesco che non cadde sotto le invasioni turche.
Il “Salento Negroamaro”, rassegna che prende il nome da un vitigno di questa terra di Puglia, è anche questo, una mescolanza di culture: quelle africane da un lato e quella salentina dall’altro, un incontro che avviene nella musica, quando i djembe senegalesi si fondono con i tamburelli delle pizzicate, o nel cinema, con la rassegna diretta da Paolo Pisanelli, “Cinema del reale”, che occupa le giornate del “Negroamaro” dal 17 al 22 di luglio e che include proiezioni di opere non solo di registi africani. Fra questi arriveranno nel Salento maestri del cinema come Sembène Ousmane, dal Senegal, premiato nell’ultimo festival di Cannes per il suo “Moolade” e Rahmatou Kéita, con il suo documentario: “Al’ lèèssi…”, un lavoro che racconta la nascita del cinema africano negli anni sessanta. Con loro ci saranno le delegazioni del Ministero della Comunicazione, delle arti e della cultura del Niger, della Direzione Generale della Cinematografia del Niger presso l’Unesco, dell’Ambasciata del Niger in Italia e della Cineteca di Francia, accolte dai rappresentanti della Provincia di Lecce, ente che ha promosso il “Negroamaro”.


Stefano Mele

Tuesday, July 11, 2006

SAN CATALDO, PENNELLI E LEGGENDE

da "Esportazione senza filtro" n° 3 giugno/luglio 2006



SAN CATALDO, PENNELLI E LEGGENDE


La leggenda narra che Cataldo, in viaggio verso Taranto per volere divino, placò la tempesta gettando in mare un anello e in quel punto si sarebbe formata una sorgente d’acqua dolce, chiamata Anello di San Cataldo.


Saranno passati almeno 1500 anni e ancora oggi San Cataldo fa da scenario a numerose leggende, probabilmente meno suggestive ma altrettanto fantasiose, come quella che narra che per “salvare la stagione” è necessario scaricare sulla spiaggia 150 mila metri cubi di sabbia, o quella che racconta di un maestoso progetto di edilizia che riguarda la realizzazione di un grande albergo in prossimità della darsena, o ancora la leggenda del porto, quello che dovrebbe accogliere gli yacht delle persone per bene.


Tutte leggende, racconti che stimolano la fantasia, e nonostante ciò le idee per San Cataldo non ci sono, la fantasia amministrativa manca del tutto, e la marina è una delle più tristi periferie di Lecce, tetra l’inverno e morta l’estate, se non fosse per qualche bar che fa ricordare la presenza di forme di vita intelligenti(?).


Non un’attrattiva per i più giovani, non un cinema all’aperto, non una manifestazione musicale degna di questo nome, una manifestazione teatrale e presto neanche la sabbia. Di buono solo le cozze che puoi gustare in un chiosco proprio all’ingresso della marina.


Osservando i “pennelli”, quelle lingue di roccia incastonate di rifiuti che dalla spiaggia si spingono per circa sessanta metri al largo, come pugnali nel mare, appare subito chiara la considerazione che gli amministratori hanno di quei luoghi, un’appendice scomoda della città, dove abbandonarsi a spericolate sperimentazioni ingegneristiche, l’ultima frontiera della lotta dell’uomo contro il mare, dell’accanimento contro quel mare che prima non era cristallino, ma ora è persino offensivo per gli occhi di chi lo guarda. E intanto il presidente della circoscrizione, il forzista Alberto De Masi, promuove la festa del panzerotto surgelato e chissà quali altri eventi memorabili per questa magica estate.

Tuesday, June 13, 2006

Si firma per la Tettoia


da "il Paese Nuovo" del 13 giugno 2006

Si firma per la Tettoia


La tettoia stile Liberty tornerà a far bella mostra di sè, nell’area dell’ex caserma Massa. Ci credono, o meglio ci sperano tanti cittadini che da ieri hanno iniziato a sottoscrivere la Petizione d’iniziativa popolare promossa da Mario De Cristofaro e dalle liste che sostengono la sua elezione a sindaco di Lecce.
La petizione, rivolta al Sindaco chiede il recupero dell’antica tettoia che, come è noto, da anni giace in uno stato di degrado, nei depositi comunali, e che molti leccesi vorrebbero vedere nuovamente in piedi a coprire il mercato.
A chiederlo sono da anni soprattutto i commercianti di Settelacquare, che hanno anche costituito un’associazione “La Tettoia”, appunto, e che ricordano varie campagne elettorali nel corso delle quali la proposta di recuperare il vecchio gioiello di Lecce non è mai mancata.
La sede di piazza Libertini sembra la collocazione ideale: al centro di Lecce, in un’area morta da quando, nel 1971, l’amministrazione guidata da Salvatore Capilungo decise per l’abbattimento dei due chiostri cinquecenteschi di Santa Maria del Tempio, che facevano parte della Caserma.
“Tale collocazione e utilizzo della Tettoia - ha spiegato De Cristofaro - ben si concilia con la recente volontà dell’amministrazione comunale di non smantellare il mercato di piazza Libertini. E’ facile immaginare quali vantaggi avrebbero i commercianti e i cittadini dalla vicinanza dei due mercati”. Le firme, sottolinea De Cristofaro, si stanno raccogliendo nonostante la modulistica ufficiale sia mancante, in contrasto con quanto prevede lo Statuto comunale: “L’amministrazione comunale - recita lo Statuto - nei modi stabiliti dal regolamento agevola le procedure e favorisce gli strumenti per l’esercizio del diritto d’iniziativa assicurando anche l’assistenza dei competenti uffici”. (s.m.)

Determine, ancora accuse


da "il Paese Nuovo" del 13 giugno 2006

Determine, ancora accuse

Dirigenti sotto controllo, leggi calpestate dal Sindaco del Comune di Lecce e da quanti, pur sapendo, hanno taciuto.
Il centrosinistra a Palazzo Carafa intende andare fino in fondo e ripristinare la legalità nella questione legata all’iter che le determine dirigenziali seguono nel Comune di Lecce. Anomalo, illegittimo, come ha scritto ieri il consigliere comunale Carlo Salvemini in una lettera inviata a tutti i dirigenti di Palazzo Carafa, al Segretario e al Direttore Generale, per avere un loro riscontro sul controllo preventivo effettuato dal Sindaco su tutte le determine dirigenziali.
“Il processo di gestione informatica degli atti amministrativi - scrive Salvemini - prevede, nell’iter di formazione di una determina dirigenziale, l’obbligatorio trasferimento della stessa al Sindaco (in fase istruttoria), prima della convalida ed eliminazione da parte del dirigente competente”.
Tale procedura, spiega Salvemini, emerge sia dal diagramma predisposto dalla Publisys, che da una nota del dirigente Settori Sistemi informativi del 6 giugno 2006 (Protocollo n. 0063365). “Si stabilisce pertanto un passaggio obbligatorio - specifica Salvemini - e condizionante l’intero procedimento di formazione delle determine, che attribuisce al sindaco una competenza non prevista ai sensi della normativa vigente”. Oltre al decreto legislativo 267 del 2000, anche il Regolamento comunale prevede che dopo l’emanazione della determina una copia debba essere inviata al sindaco, e non durante la fase di istruttoria, come invece accade a Lecce, dove forse, ironizza Salvemini, “vige una legislazione speciale che rende possibile ciò che in tutte le amministrazioni d’Italia viene considerato platealmente illegittimo”.

Lavoratrici e mamme, si può. Ora c’è un Protocollo in aiuto


da "il Paese Nuovo" del 13 giugno 2006

Lavoratrici e mamme, si può. Ora c’è un Protocollo in aiuto


E’ la dottoressa Maria Loredana Mele, di San Pietro in Lama, la vincitrice della prima edizione del “Premio di Laurea Leccedonna”, un riconoscimento guadagnato con una tesi di laurea in Diritto del lavoro dal titolo “La tutela della maternità”.
La commissione esaminatrice, che già il 2 maggio scorso, aveva premiato la dottoressa Mele, ha scelto di premiare la tesi più in linea con il tema del concorso : “Lavoro maternità e conciliazione”, temi che fanno anche parte del protocollo siglato sabato scorso da Confindustria Lecce, Provincia e Organizzazioni sindacali.
Il Protocollo, promosso dall’Ufficio della consigliera di Parità della Prvincia di Lecce, Serenella Molendini, mira a favorire l’attuazione della legge 53 del 2000, quella che promuove un equilibrio fra tempi di lavoro, di cura, di formazione e di relazione attraverso azioni finanziate dallo Stato. Il Sud, infatti è molto indietro rispetto al centro-nord, sia per quanto riguarda i progetti interessati che per quello che concerne i progetti approvati. “La Puglia - si legge nel Protocollo - non solonon sembra essere interessata alla misura ma ha anche una percentuale ridottissima (il 5% circa) di progetti approvati sul 20% di progetti presentati”.
La legge, pensata per sostenere le lavoratrici madri e per corresponsabilizzare gli uomini nel lavoro di cura familiare e nei processi di crescita dei figli, è peraltro vantaggiosa anche per le imprese, che presentando i progetti opportuni possono accedere ai finanziamenti previsti nel Fondo per l’occupazione. Non a caso il Protocollo porta le firme di Piero Montinari, presidente di Confindustria Lecce, dei segretari provinciali di Cgil Cisl e Uil: Biagio Malorgio, Franco Surano e Salvatore Giannetto e dell’assessore alle Poitiche del Lavoro della Provincia di Lecce, Mario Pendinelli, oltre che della consigliera di Parità, serenella Molendini, principale promotrice dell’iniziativa.

Monday, June 12, 2006

“L’Asl sta abbandonando il territorio”

da "il Paese Nuovo" del 11 giugno 2006



Loredana Capone attacca: basta ospedali, sanità moderna non significa aumentare i ricoveri


“L’Asl sta abbandonando il territorio”


“Regna l’amarezza: non si può che constatare una sottovalutazione delle strutture territoriali della Asl”. Lo ha affermato l’assessore provinciale alle Pari Opportunità, Loredana Capone, che in un messaggio rivolto al mondo salentino civile e istituzionale, ha lanciato una dura critica nei confronti dell’Asl Lecce1, per la scarsa attenzione che l’Azienda ha dimostrato rispetto a quelle strutture sanitarie non ospedaliere che, ha affermato la Capone, dovrebbero essere maggiormente valorizzate.
“Dov’è finito il nuovo slancio per le strutture territoriali della Asl?” ha polemizzato Loredana Capone.
E le critiche si spingono oltre e colpiscono anche chi ha in mente la costruzione di nuovi ospedali per porre rimedio ai problemi della sanità. Prima bisognerebbe valorizzare quello che già c’è: “ Non so se sia urgente immaginare la costruzione di un nuovo ospedale - ha dichiarato la Vicepresidente della Provincia, ma so immaginare il ruolo nuovo dell’ospedale. Bisogna potenziare al massimo e migliorare l’esistente. Dalla visita fatta con il Presidente Vendola è emerso che ci sono macchinari non utilizzati, talvolta strumenti rotti e non sostituiti, ovunque c’è poco personale, ci sono strutture che funzionano molto bene, ma andrebbero valorizzate. E occorre potenziare i Consultori e metterli in rete, in uno scenario di deospedalizzazione”.
Bocciata su tutti i fronti, insomma, la linea Trianni, giudicata inefficace e insufficiente a determinare il cambiamento e il miglioramento della sanità, perche penalizzante nei confronti della rete dei servizi territoriali.
C’è chi pensa alla costruzione di un nuovo ospedale, ma la Capone ha un’altra idea: “La cittadella della salute può essere il nuovo ospedale” ha proposto, e poi ha aggiunto: “Il Poliambulatorio di Lecce, che è una vera e propria cittadella della salute, lungi dall’essere messo in discussione - ha sottolineato la Capone - dovrebbe invece rappresentare un modello di struttura territoriale. Il motivo? Perchè risponde alle esigenze dei cittadini leccesi e perchè funziona grazie alla presenza di ottime professionalità da valorizzare e motivare”.
Quello che secondo l’Assessore provinciale si sta verificando è uno sbilanciamento in favore dell’ospedale nella gestione sanitaria della Lecce1: “Lo stesso Piano Sanitario Nazionale - ha motivato Loredana Capone - delinea, fra le proprie più importanti azioni strategiche, il potenziamento dell’assistenza distrettuale in generale, e territoriale in particolare, ma sempre al fianco dell’evoluzione del ruolo dell’ospedale. Anche nelle leggi finanziarie dello Stato degli ultimi anni sono contenute disposizioni che riguardano l’utilizzo dell’ospedale e la riqualificazione dell’assistenza sanitaria. L’indice da seguire è puntato sul nuovo profilo organizzativo, sulla correttezza delle cure, sull’uso delle risorse, sul concetto di interattività con il territorio”.
Proprio un uso inadeguato delle risorse e la mancata interattività con il territorio sarebbero le cause del mancato cambiamento della sanità che gli elettori si aspettavano all’indomani delle Regionali dell’aprile 2005. Eppure secondo la Capone la Regione Puglia sta mettendo in campo delle iniziative che sono in perfetta sintonia con le linee strategiche perseguite nell’ambito del Servizio sanitario nazionale. “Con una novità - ha aggiunto l’Assessore - favorire il processo di equilibrio e potenziamento dei livelli assistenziali attualmente meno favoriti (Assistenza sanitaria di base e distrettuale), per puntare allo sviluppo di forme alternative al ricovero, quali l’assistenza domiciliare integrata, l’ospedalizzazione a domicilio, l’assistenza infermieristica domiciliare. Sono questi i servizi ai quali puntare per garantire pari opportunità a tutti nell’accesso ad un concreto diritto alla salute”.
Una sanità moderna quella che immagina Loredana Capone, una sanità che sappia andare incontro alle esigenze degli anziani soli e non autosufficienti, delle famiglie che devono provvedere alle innumerevoli esigenze di figli diversamente abili, che sappia dare conforto a chi spesso si sente lasciato solo, che valorizzi i consultori esistenti e li metta in rete. E questo progetto non può che passare da una gestione differente dell’Asl: “E’ in questa logica di spostamento del baricentro tra livello ospedaliero e quello distrettuale che occorre razionalizzare l’esistente e renderlo ancora più funzionale e più efficiente elle esigenze dei cittadini - ha ribadito la Capone - in modo da evitare inutili sprechi di risorse o doppioni”.
Ma la Vicepresidente della Provincia, e aspirante sindaco di Lecce, è andata anche oltre, nella dura critica mossa all’Asl dell’era Trianni, andando persino a riprendere quelli che per mesi sono stati i cavalli di battaglia di Forza Italia, di Rocco Palese in prima fila, e che riguardano le scelte di assumere medici e operatori provenienti da altre regioni italiane: “Occorre, recuperare la motivazione da parte dei medici e degli operatori locali - ha dichiarato - che spesso si sono visti sorpassare o sostituire da colleghi chiamati da fuori, vedendo il loro operato e la loro professionalità messi in discussione o in secondo piano. E questo servirà anche a frenare la fuga di cervelli di casa nostra verso il Nord o l’Europa”.
Senza reticenze, insomma, Loredana Capone ha esternato apertamente una sensazione di malcontento abbastanza diffusa. Può sembrare una sorta di ripicca a distanza di ventiquattr’ore dalle dichiarazioni di Pellegrino, pronto a escluderla dalla squadra di governo della Provincia insieme a chi non sarà in condizione di garantire un impegno a tutto campo, ma il problema sollevato da Loredana Capone è reale, e riguarda un bivio nelle strategie di politica sanitaria: da un lato l’annunciata deospedalizzazione, con il potenziamento dell’assistenza sanitaria di base e distrettuale, dall’altro la scelta inversa, quella di investire fondi per la costruzione di nuovi ospedali.
Loredana Capone ha ben chiare le priorità, e la costruzione di un nuovo ospedale non è una di queste, così come il potenziamento degli ospedali esistenti quando questo corrisponde a un depauperamento delle altre strutture sanitarie presenti sul territorio o la rinuncia a politiche sanitarie che prevedono l’assistenza domiciliare integrata, la cosiddetta ospedalizzazione a domicilio.
Stefano Mele

Saturday, June 10, 2006

Salute mentale, Salento e Puglia verso il salto di qualità


da "il Paese Nuovo" del 10 giugno 2006

Salute mentale, Salento e Puglia verso il salto di qualità


La Direzione generale dell’Asl Lecce1 ha deliberato ieri in merito al piano di attuazione del progetto-obiettivo “Miglioramento e valutazione della qualità dell’assistenza nei Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura della Regione Puglia”, elaborato dal dottor Serafino De Giorgi, direttore del Dipartimento di Salute Mentale dell’Asl Lecce 1.
Il progetto, che la Giunta Regionale ha approvato nel dicembre del 2005, estende a tutti i Servizi psichiatrici della Regione un precedente progetto avviato nel 1999, interesserà anche la Clinicha Psichiatrica Universitaria e nell’Asl Lecce 1 i Servizi psichiatrici degli ospedali di Galatina e Campi Salentina.
Le finalità del progetto, che si svilupperà nell’arco di un triennio, sono l’umanizzazione e personalizzazione dell’assistenza, la razionalizzazione degli interventi non limitati unicamente agli aspetti sanitari, la valutazione e il miglioramento continuo di qualità del servizio, lo sviluppo di un ambiente terapeutico non restrittivo, la sperimentazione di modalità alternative di assistenza (approcci gruppali, sviluppo movimento utenti, service user development worker) e riduzione, in collaborazione con i servizi territoriali per la salute mentale, di alcuni indicatori specifici di criticità assistenziale.
Tra questi si pensa alla riduzione progressiva dei ricoveri impropri e ripetuti, della durata media dei ricoveri in Tso (trattamento sanitario obbligatorio) e del loro numero assoluto in percentuale e alla diminuzione progressiva degli episodi di aggressività, eliminazione e del ricorso alla contenzione fisica.
Gli interventi che saranno necessari per la realizzazione del progetto viaggiano su un doppio binario. Da un lato quelli di carattere strutturale-organizzativo, dall’altro quelli centrati sul miglioramento dei livelli d’assistenza che passa attraverso processi di condivisione e partecipazione degli stessi pazienti.
L’aspetto considerato più innovativo di questo progetto è infatti legato al ruolo del paziente e ai nuovi processi di ridefinizione delle pratiche operative, con un momento finale di valutazione con l’adozione di strumenti cartacei e informatici di registrazione, valutazione e soddisfazione degli utenti.
Si tratta di un progetto unico in Italia perchè coinvolge tutti i Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura della Regione, e perchè gli obiettivi fissati, se realmente saranno raggiunti, determineranno un salto di qualità dell’assistenza fornita nel corso del ricovero e, più in generale, sull’intero processo di presa in carico e di continuità terapeutica.
Il ricovero è concepito in questo modo non come una parentesi, ma come un momento di lavoro integrato in cui il paziente diviene protagonista attivo, anche nelle occasioni estreme di un ricovero contro la sua volontà.
Sviluppi positivi ci sono anche per i pazienti dell’ex Centro di salute mentale di Carmiano che il 7 giugno scorso hanno protestato negli uffici dell’Asl Lecce 1. Il dottor Serafino de Giorgi, ha infatti assicurato che l’Asl ha già provveduto a deliberare la stipula del contratto con il Comune di Carmiano, dove sarà attiva una subarticolazione del Csm di Nardò, così come a Copertino, mentre a Leverano il Comune ha messo a disposizione gratuitamente dei locali per l’attivazione di un centro diurno di riabilitzione psicosociale. Nelle strutture, ha assicurato il dottore De Giorgi, lavoreranno tutte le professionalità necessarie a garantire prestazioni di alto livello. (s.m.)

Truffa milionaria con la 488. Arrestati i vertici dell’Agm


da "il Paese Nuovo" del 10 giugno 2006

Truffa milionaria con la 488

Arrestati i vertici dell’Agm

Truffa aggravata ai danni dello Stato e della Comunità Europea. Ancora manette per un uso distorto dell’ormai famigerata legge 488, e questa volta a finire in carcere sono due amministratori di una società di Muro Leccese, la Agm Industrie Spa, arrestati ieri dal Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Lecce.
Secondo quanto emerso dalle indagini delle fiamme gialle, coordinate dal sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Lecce, Imerio Tramis, gli indagati avrebbero ottenuto due finanziamenti pubblici grazie alla legge 488 del 92 e ai Pia innovazione (Pacchetti integrativi agevolati) per un valore complessivo di 3 milioni e 430mila euro, la metà dei quali è stata già erogata.
Gli investigatori sostengono che la società inquisita avrebbe inviato alla banca concessionaria falsi documenti fiscali che attestavano l’esecuzione di prestazioni e la fornitura di beni. Peccato che queste, così come la fittizia esecuzione di corsi di formazione per il personale non siano mai avvenute.
Il primo finanziamento, di circa 530mila euro, dei quali 354mila effettivamente percepiti, era stato erogato a fronte della realizzazione ex novo di un capannone industriale che, in realtà era stato realizzato nel 2001 da un’altra Società, operante nel leccese. Il secondo finanziamento, di 2 milioni e 898mila euro, dei quali 1 milione e 390mila materialmente riscossi, prevedeva lo studio, la progettazione, lo sviluppo e la sperimentazione di un innovativo sistema integrato per la misuraizone dei livelli e delle composizioni di fluidi contenuti in serbatoi e recipienti.
Entrambi gli indagati: Roberto Ercolani, 50 anni, e il figlio Francesco Alessandro, di 26, residenti a Roma, sono stati arrestati per effetto delle ordinanze di custodia cautelare emesse dal Gip di Lecce, Maurizio Saso, e si trovano adesso nel carcere romano di “Regina Coeli”, a disposizione dell’Autorità giudiziaria di Lecce.

I bambini non sono nella gravina


da "il Paese Nuovo" del 10 giugno 2006

I bambini non sono nella gravina

Ricerche a tutto campo ma senza esito. Secondo i soccorritori i fratellini non sono stati vittima di un incidente

Non è bastato lo straordinario spiegamento di uomini e mezzi, gli appelli, gli interrogatori e le indagini. Di Salvatore e Francesco Pappalardi non si sa più nulla da lunedì scorso, quando sono scomparsi gettando nell’angoscia Gravina di Puglia. Le ricerche, che ieri si sono ulteriormente intensificate anche nel centro abitato, setacciato dai carabinieri, non hanno dato nessun frutto, così come le telefonate giunte al numero verde attivato dalla Prefettura di Bari. Di nessuna utilità per rintracciare i due fratellini di Gravina.
Ieri il padre dei ragazzini è stato ascoltato ancora una volta dagli investigatori. La Polizia pensa che la traccia da seguire possa essere fornita dagli ambienti vicini ai bambini: i genitori, i parenti, i coetanei o i fratellastri. Ancora vani, però, tutti i tentativi fatti, mentre oggi i bambini della scuola scuola media Benedetto XIII, quella frequentata da Salvatore e Francesco, marceranno in città per convincere i loro compagni a venire allo scoperto, qualora siano ancora nascosti a Gravina, magari aiutati da qualcuno, un adulto, che potrebbe aver dato loro sostegno o ospitalità, così come sospetta la madre dei due ragazzini.
La Polizia di Stato ha intanto inserito sul sito istituzionale le foto di Francesco e Salvatore, nella sezioni minori delle persone scomparse. Attraverso il sito è anche possibile effettuare delle segnalazioni, o qualsiasi informazione utile al ritrovamento dei ragazzi in forma anonima.
Non sono nella gravina, sostengono i soccorritori, dopo che ieri hanno ultimato l’esplorazione dell’intera area tra Gravina e Santeramo: “Non abbiamo registrato nemmeno tracce di scivolamenti o cadute - ha riferito il coordinatore del gruppo che ha setacciato palmo a palmo la zona - e nulla è stato trovato nei pozzi e negli anfratti naturali, ed escludiamo pertanto che i due bambini abbiano avuto un incidente qui”.
E mentre il mistero si fa sempre più fitto sulla scomparsa dei fratellini, il caso diventa anche spunto per riflessioni più ampie che vanno oltre il caso specifico, come quelle dell’assessore regionale alle Politiche della Salute, Alberto Tedesco: “Bisogna intervenire costruendo servizi di assistenza che non siano necessariamente residenziali, cioè istituzionalizzanti - ha dichiarato l’Assessore - ma che mettano a disposizione delle famiglie e dei minori interventi concreti di assistenza dal punto di vista sanitario e dal punto di vista sociale; servizi che consentano alle famiglie di avere dei riferimenti sul territorio ai quali affidarsi, che siano tecnicamente in grado di affrontare fenomeni come questo”.
“Stiamo lavorando su un vero e proprio progetto di salute mentale che possa diventare una parte importante del Pianio regionale di salute che dobbiamo mettere a punto. Se ne avverte la necessità - ha aggiunto Tedesco - perchè la complessità dei fenomeni sociali è tale da scaricarsi molto di più di quanto non avveniva in passato sulla fragilità delle generazioni in età pediatrica o in età evolutiva”.
“C’è il problema - ha concluso - di costruire forme di assistenza per tutti quei minori che sono in qualche modo alle prese con situazioni di disagio psichico che possono essere indotte anche da fattori di carattere familiare, da vicende di carattere familiare e purtroppo da questo punto di vista siamo in grave ritardo nella predisposizione di servizi, soprattutto territoriali che incrocino queste esigenze”.
Gli investigatori, intanto, cercano altre piste, e non si esclude il coinvolgimento di persone adulte vicine alla famiglia, come ha suggerito la madre dei bambini, Rosa Carlucci: “Penso che i bambini siano nascosti da qualche parte dove c’è qualcuno che li protegge” ha dichiarato ieri ai giornalisti e probabilmente anche agli inquirenti, senza però voler fare alcuna ipotesi sull’identità dei presunti adulti coinvolti.
L’unica certezza, secondo la donna, è che l’allontanamento è legato alla situazione familiare e all’affidamento al padre, che i bambini non avrebbero accettato di buon grado.

Friday, June 09, 2006

Aiuti ai produttori, scadono i termini

da "il Paese Nuovo" del 9 giugno 2006

Aiuti ai produttori, scadono i termini


Entro il prossimo 15 giugno i produttori olivicoli dovranno fissare i “titoli” provvisori comunicati nelle scorse settimane dall’Agea, e presentare ai Centri di assistenza agricola di riferimento la relativa domanda per l’accesso al regime di pagamento unico.
Lo ricorda l’Aprol di Lecce, che informa i propri associati sulle modalità di applicazione della riforma della Pac (Politica Agricola Comune).
La fissazione dei “titoli” provvisori, comunica il presidente dell’Aprol di Lecce, Francesco Guido, è un adempimento fondamentale per garantire ai produttori la conservazione del diritto alla percezione dell’aiuto comunitario fino al 2013.
Chi ha già ricevuto la raccomandata, così come quelli che non l’hanno ricevuta, possono rivolgersi aglisportelli dei Caa (Centri di Assistenza Agricola) di Coldiretti, Impresa Verde Srl, Lecce e Upa Confagricoltura, Geoservice Srl o agli sportelli ubicati presso la sede dell’Aprol di Lecce, in via Bernardini 11,
In alternativa le domande per l’accesso al regime di pagamento unico possono essere presentate all’organismo cooperativo di appartenenza o frantoio privato, tramite il quale hanno presentato in questi ultimi anni la domanda di aiuto alla produzione dell’olio d’oliva.
La riforma della Pac, approvata già nel giugno del 2003, è stata annunciata come una rivoluzione delle politiche agricole in Europa, non solo perchè lascia più libertà di produzione agli agricoltori, ma anche perchè il “pagamento unico per azienda” è subordinato al rispetto delle norme in materia di tutela ambientale, sicurezza alimentare e protezione degli animali.
I fondi messi a disposizione degli agricoltori, infatti, sono indirzzati principalmente a chi realizza programmi in materia di ambiente e salvaguardia degli animali.

Nasce “Salentointrenoebus”

da "il Paese Nuovo" del 9 giugno 2006

Nasce “Salentointrenoebus”


Partenza da Lecce, direzione Leuca, con i treni della Sud Est, e ritorno in autobus.
Si chiama “Salentointrenoebus” ed è un progetto principalmente rivolto ai turisti che partirà il prossimo martedì 13 giugno. A bordo dei mezzi, quelli delle Fse prima e della Stp poi, ci saranno dei passeggeri d’eccezione: il Presidente della Provincia di Lecce, Giovanni Pellegrino, l’assessore provinciale ai trasporti Giuseppe Merico, il difensore civico della Provincia, Giacinto Urso, gli assessori e i consiglieri provinciali e i dirigenti di Fse e Stp, nonchè i sindaci dei Comuni serviti da “Salentointrenoebus”, i rappresentanti delle organzzazioni sindacali, di istituzioni pubbliche e degli organi di informazione.
Il treno, in partenza da Lecce alle 9 e due minuti, farà tappa a Zollino, Maglie, Poggiardo, Tricase, Gagliano e Leuca, con arrivo previsto per le 10.17. Tempi brevi tutto sommato, per un servizio che già si preannuncia gradito ai turisti che da qui a qualche giorno faranno davvero sentire la loro presenza nel Salento.
I tragitti e le stazioni della Sud-Est, e persino quelle vecchie carrozze, hanno peraltro acquistato un valore diverso dopo il film che li ha utilizzati come filo narrativo per raccontare il Salento, Italian Sud Est, appunto, e sicuramente per qualche straniero, abituato a ben altri e modernissimi mezzi di trasporto, quel viaggio di un’ora e un quarto da Lecce a Leuca assume i contorni di un romantico tuffo nel passato. Lungimiranza di chi per anni ha lasciato marcire quell’estremo lembo di ferrovia italiana? No, ma probabilmente non tutto il male viene per nuocere, e con gli accorgimenti presi, come l’integrazione con il trasporto su gomma e una più razionale organizzazione, il servizio può funzionare bene e venire incontro alle esigenze dei turisti che scelgono il Salento come meta di vacanza.

E’ mistero sui bambini scomparsi

da "il Paese Nuovo" del 9 giugno 2006

E’ mistero sui bambini scomparsi


Controlli a tappeto a Gravina, impegnati anche sommozzatori e unità cinofile. Di Salvatore e Francesco non c’è traccia


Centinaia di uomini impegnati nelle ricerche, unità cinofile giunte anche dal Lazio per perlustrare palmo a palmo le campagne, un intero paese in apprensione. Si presenta così, in queste ore, Gravina di Puglia, in un crescendo di angoscia da quando, lunedì scorso Salvatore e Francesco, i due piccoli di 11 e 13 anni sono scomparsi, senza lasciare traccia.
Fuggiti, dice la Polizia, perchè non volevano più abitare con il padre, al quale erano stati affidati dopo la separazione dei genitori. Si teme il peggio per i due ragazzini, usciti da casa senza soldi, nè cibo, con abiti troppo leggeri per trascorrere la notte fuori di casa. Per questo si sono aggiunti alle ricerche anche gli uomini del soccorso alpino e gli speleologi dei Vigili del Fuoco e dei Carabinieri, impegnati nell’esplorazione delle gravine e grotte della Murgia, metre gli uomini delle forze dell’ordine hanno effettuato perquisizioni anche nelle abitazioni dei parenti stretti dei ragazzi, nell’ipotesi che qualcuno li abbia aiutati a nascondersi, magari nel tentativo estremo di far riavvicinare i genitori separati. Questi hanno lanciato un appello ai figli: “Tornate, non vi puniremo”, hanno detto, mentre di Salvatore e Francesco nessuna traccia.
Pozzi, crepacci, grotte, qualsiasi altro possibile nascondiglio alla periferia di Gravina è stato passato al setaccio. Persino i sommozzatori hanno scandagliato un torrente e decine di volontari si sono messi all’opera per individuare il possibile nascondiglio: fra i casolari abbandonati della Murgia, negli anfratti naturali. La speranza è di ritrovarli vivi, magari nascosti fra quattro mura, ospiti di un conoscente; a Gravina o in qualche paese limitrofo, forse a Santeramo, dove la madre dei ragazzi vive con un’altra figlia e il suo attuale compagno.
L’ultimo avvistamento, secondo la testimonianza di un loro coetaneo, risalirebbe a due giorni fa. Un ragazzino li avrebbe visti proprio in una zona ricca di profonde cavità naturali, le famose “gravine” caratteristiche della murgia barese. Ecco perchè si teme il peggio. La testimonianza non è comunque giudicata pienamente attendibile, così come quella di chi li avrebbe avvistati, sempre due giorni fa, nei pressi della Cattedrale, nel centro storico.
Vane le ricerche di ieri, vano anche il tentativo di ritrovarli utilizzando i cani addestrati delle unità cinofile, ai quali sono stati fatti annusare vestiti e altri oggetti appartenenti ai due bambini.
Ieri anche il sindaco di Gravina, Rino Vendola, ha espresso tutto il suo sconcerto: “Purtroppo sulla vicenda mi sento impotente” ha dichiarato.
“Sono rammaricato - ha aggiunto, depresso, ma non riesco a farmi un’idea e non credo che si possa stare tre giorni fuori da casa senza vestiti nè cibo. Le idee che uno si può fare all’esterno sono sempre sbagliate perchè poi scopri che la realtà è sempre diversa”.
A dare una morale alla favola, che purtroppo assume sempre più le sembianze di una tremenda tragedia ci ha pensato ieri mattina l’Osservatore Romano, il giornale vaticano: “I genitori, quando si separano, sono sempre pronti a trovarne tante di ragioni. E molte volte non pensano che magari non sono così importanti” è stato scritto ieri sul quotidiano. Francesco e Salvatore, sottolinea il giornale vaticano, “pagano il benessere dei loro genitori: mamma e papà reclamano la propria soddisfazione, non si riconoscono più come famiglia e pretendono di decidere. Hanno diritto alla loro felicità, dicono. A danno del benessere di Francesco e Salvatore”.
I compagni di scuola di uno dei due bambini scomparsi, invece, hanno scritto un grande “ti aspettiamo” su una lavagna della scuola “Benedetto XIII di Gravina”, mentre fuori centinaia di uomini, comprese le Guardie forestali a cavallo scandagliavano il territorio e decine di troupe televisive seguivano passo passo gli avvenimenti.
Per coordinare questo massiccio spiegamento di mezzi il Prefetto, il Questore di Bari, e il Comandante Provinciale dei Carabinieri, hanno presideuto un vertice operativo, mentre parallelamente alle ricerche si è proseguito con le indagini.
La mamma dei ragazzi è stata accompagnata in commissariato, dove ha portato alcuni quaderni dei figli, che potrebbero tornare utili agli investigatori. E’ sempre in funzione, intanto, il numero verde attivato dalla Prefettura, l’800.33.92.29, al quale sono arrivate alcune segnalazioni, rivelatesi però tutte infruttuose.