Monday, June 04, 2007

NEL MICROCOSMO DI VINCENT, STORIA E VISIONI DI UNA PECORA NERA


NEL MICROCOSMO DI VINCENT, STORIA E VISIONI DI UNA PECORA NERA

Vincent il pazzo, Vincent il genio, il mito, il visionario, l’artista. “Sono uno dei più grandi fuori legge d’Italia - esordisce - perché sono un illegale nato, faccio tutte le cose così come mi vengono in mente e questo non piace a chi ci vorrebbe vedere tutti incanalati. Ce ne sono troppi che sono incanalati, e allora qualcuno che fa la pecora nera ci vuole. Io sono una pecora nera, ma fortunato, perché tante pecore nere hanno pagato con la vita il prezzo della loro libertà”.
Un personaggio controverso Vincent Brunetti, che nel suo eremo a Guagnano riceve ogni giorno decine, a volte centinaia di visitatori: curiosi, appassionati d’arte, compaesani e turisti che arrivano ormai anche dall’estero per vedere, per toccare con mano “l’isola di pace” che Vincenzo Maria Brunetti ha inventato in una dimenticata periferia italiana.
Adesso Vincent vende le sue tele, si guadagna da vivere e sembra felice, ma non è facile essere un diverso in paese. In una piccola comunità come Guagnano ci vuole poco per diventare lo zimbello di tutti, “lo scemo del villaggio”, uno di quegli esseri umani il cui genio artistico viene riconosciuto dopo la morte, preferibilmente quando questa arriva in circostanze tragiche e non di rado in solitudine. Non è questo il destino di Vincent, e lui ne è fiero: “Non sono più il diverso di Guagnano – dice con orgoglio – prima mi additavano, ora non mi dicono più niente, perché porto il turismo in paese. Io, a differenza di altri artisti, sono stato più intelligente, ho capito che dovevo avvicinarmi alla gente, perché la gente ha bisogno di qualcuno a cui affidarsi, così come fa quando va dal prete. Quando la gente ha bisogno di soddisfare il suo bisogno estetico che ha nell’anima va dall’artista. Ma quando l’artista non capisce questo bisogno respinge gli altri e finisce per rimanere solo”. Ora anche la critica lo innalza e tenta di collocarlo in una corrente (il trans-avanguardismo) ma è realmente impossibile incasellare Vincent e le sue opere: sarebbe un torto fatto a lui e alla sua arte. Certo è che Vincent è figlio di un’epoca, quella iniziata con i capelloni che volevano mettere i fiori nei cannoni e terminata con il piombo delle P38. Ma la “libellula del sud”, così Vincent era soprannominato, non ha mai smesso di sognare l’isola di White, la sua Itaca, e a 45 anni, nel 1995, ha pensato di costruirla veramente: a Guagnano. I grandi eroi di quella generazione sono morti, spiega, alcuni assassinati, altri a causa della droga, “quelle manifestazioni e quelle lotte, le sparatorie, non hanno portato a niente, eppure nella storia c’è stato un cambiamento. Quei grandi uomini hanno lanciato in mare una bottiglia con dentro un messaggio e io l’ho trovato. Ho capito di essere un predestinato e un privilegiato in quanto sono stato il frutto più bello del sistema democratico, un sistema che ha commesso tante ingiustizie, però ha creato Vincent”.
Tutto è iniziato dopo una “rivelazione divina” come racconta l’artista. Un evento cardine nella vita di Vincent martoriata dalle piaghe della poliomielite. L’incontro con Mariano Orrico, il commercialista di Voghera che dice di aver scoperto una terapia per questa malattia: una lamina miracolosa che strofinata su una pelle di pecora sprigiona un’energia benefica per il corpo e per la mente. “Questa pelle è il mitico vello d’oro - sostiene Vincent - quello narrato dagli antichi greci. Orrico ha scoperto che esiste davvero e mi ha ridato la speranza di vivere, camminare e correre”. Improvvisamente Vincent si alza e inizia a volteggiare disegnando dei cerchi nell’aria con le braccia e con le gambe. L’energia elettrostatica alla quale quotidianamente espone il suo corpo “è come un narcotico – dice – e mi fa stare bene”. A dodici anni di distanza da quell’incontro Vincent si sente ancora in debito con l’uomo che con questa stravagante terapia gli ha cambiato la vita. Ma il rapporto con l’arte nasce nell’infanzia, quando a soli 11 anni Vincenzo Brunetti fa il madonnaro nelle feste patronali, accompagnato dallo zio. Poi la malattia e i problemi economici lo strappano alla sua terra e lo portano a Roma, a Torino e a Milano “la città mostruosa” dove l’artista vive il suo momento di notorietà e apprende le tecniche scultoree da Manzù e Messina, suoi maestri. Ottiene anche dei riconoscimenti per le sue opere, ma Vincent è un treno in corsa, decide di stabilirsi nei pressi di Noci, in un trullo in aperta campagna. Qui sfida apertamente la chiesa, inizia a celebrare messa, accoglie i disperati e si guadagna gli anatemi del vescovo che gli proibisce di svolgere attività religiosa. Correva l’anno 1979 e probabilmente già in quel trullo Vincent prefigurava quella che sarà la sua oasi di pace oggi fruibile da tutti nella periferia di Guagnano.
Una grande capacità di comunicare, un estro senza limiti, un’energia fuori dal comune permettono all’artista di guadagnarsi l’affetto della gente, di tutte le estrazioni sociali, che lo ricambia andandolo a visitare. Gradualmente i contatti fra Vincent e il mondo esterno si riducono sempre di più. Nella sua isola c’è tutto quello di cui l’artista ha bisogno, in quel castello costruito con materiali di risulta c’è l’anima di Vincenzo Maria Brunetti, fuori solo l’orrore. E’ attraverso le venezie che dipinge che la “libellula del sud” viaggia oltre le mura della sua fortezza, attraverso gli altri arrivano le notizie del mondo, e questo è ancora più vero da quando cinque anni fa Vincent ha detto addio anche alla televisione, dopo un’esternazione galeotta di Bruno Vespa che lo fece infuriare. In antitesi con il pensiero di Vincent, infatti, il conduttore di Porta a Porta aveva affermato che l’arte non fa aumentare l’audience, perché appartiene a pochi eletti, a una nicchia. Mentre l’artista ricorda quelle parole i suoi occhi si accendono ed esplode la sua ira: “Mi ha dato così fastidio quell’uomo che se avessi potuto l’avrei strangolato senza pietà, l’avrei cementato vivo, e nessuno mi avrebbe detto Vincenzo hai fatto male. C’è gente che è morta per l’arte e nessuno può permettersi di dire quello che ha detto Vespa. Via, uno in meno! Da allora non ho voluto più sapere niente della televisione, perché ho capito quanto faccia male alla gente”.
E’ probabilmente questo il più grande messaggio di Vincent, rivoluzionario nella sua apparente semplicità: l’arte è per tutti, è una divinità che ha bisogno dei suoi profeti. Uno di questi ha un nome: Vincenzo Maria Brunetti o, più semplicemente, Vincent.

4 comments:

Anonymous said...

Sono stata proprio ieri a trovare Vincent per la prima volta, dopo averne sentito parlare per anni! E' una persona fantastica. Ha saputo trasformare le sue difficoltà in una passione: la pittura! Ha sofferto tanto nella vita a causa della sua malattia...e, purtroppo circa un mese fa sono entrati nella sua casa, lo hanno legato e gli hanno chiesto dei soldi! Lo hanno "violentato". Persone vigliacche...Ma Vincent ce la farà di nuovo! Vincent sei grande!

Bugaz said...

Grandissimo Vincent!

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