Monday, June 04, 2007

Muay Thai, una strada per la vita


Poco più di settanta kg di peso, atteggiamento mite, modi gentili. Un ragazzo come tanti. Attenzione a non provocare, però, perché è in grado con pochi e precisi movimenti del corpo, di spezzare gli arti a un ipotetico e incauto aggressore in cerca di guai. Atleta tenace, vero sportivo ed entusiasta maestro, il Leccese Fabio Siciliani, ha scelto tuttavia il ring per dimostrare la sua forza e quello che sa fare; e lo ha dimostrato conquistando il titolo intercontinentale di Muay Thai, battendo a Bologna (nel novembre 2006) il portoghese Arnaldo Silva. Una storia difficile quella di Siciliani, classe 1981, che all’età di 18 anni è stato messo duramente alla prova dalla vita, quando il destino gli ha portato via il papà. “Ero un ragazzo allo sbando – ammette – non avevo voglia di far nulla. Stavo per strada e ho rischiato di perdermi nelle droghe. Poi l’arte marziale mi ha cambiato la vita, mi ha dato delle direttive e mi ha indirizzato sulla strada giusta”. Il Muay Thai, quindi, è diventato per Fabio Siciliani qualcosa di più di un semplice sport; è stato probabilmente quella ragione di vita che ti spinge a lavorare su te stesso, sul corpo e sulla mente allo stesso tempo, in cerca dell’equilibrio interiore che ognuno di noi insegue, spesso per tutta la vita. Ecco il significato di “Oltrecorpo”, la palestra fondata a Lecce da Fabio Siciliani, un centro culturale in cui non si apprendono solo le tecniche di combattimento, bensì è possibile anche iniziare un percorso che, solo se è seguito fino in fondo, porta alla vera dimensione spirituale della disciplina importata dalla Thailandia. “A differenza di altre arti marziali – ci spiega Fabio Siciliani – che sono prima di tutto filosofiche e poi si passa alla pratica, nella Muay Thai c’è prima molta pratica e poi, se sei degno, se sei bravo e vai fino in fondo, ti regala il suo aspetto spirituale. Per fare un esempio, io non inizio l’insegnamento spiegando perché un particolare calcio significa la tigre che attraversa il ruscello. Sono cose che, se le racconti ai ragazzi della nostra terra, suscitano ilarità, magari ti ridono dietro. Prima li faccio allenare tanto, e questo sacrificio già li aiuta, poi sono loro che pian piano cambiano. In palestra non ho gente con gli occhi iniettati di sangue; ho gente semplice che ha voglia di capire e che capisce non tanto attraverso le parole, ma attraverso il corpo e il metalinguaggio. Questo, nonostante le differenze abissali, accade anche in Thailandia.
Certamente lo scenario italiano è completamente diverso da quello della terra d’origine del Muay Boran (combattimento antico) che da oltre sette secoli fa parte della cultura tailandese, una disciplina che affonda le sue radici nella mitologia indiana e che è nata per trasformare uomini in guerrieri da impiegare nell’eterna lotta contro il vicino birmano. Una tecnica di combattimento che si avvaleva, in origine, dell’uso delle armi (Crabi Crabon), ma che permetteva al guerriero di usare il proprio corpo come arma nel caso in cui l’arma vera e propria fosse andata perduta durante il combattimento. Non parliamo dunque ancora di uno sport, ma di una disciplina a disposizione dell’esercito volta all’annientamento del nemico. Allo stesso tempo, però, il Muay Boran è anche spiritualità e cultura, controllo del proprio io, storia. Una storia che cambia radicalmente negli anni ’30 e ’40 del ‘900 perché, come spiega Siciliani, nasce un business intorno ai combattimenti. Gli europei scommettono (pratica peraltro legale in Thailandia) e i combattimenti sono feroci, cruenti, spesso mortali in alcune zone del Paese. La ferocia non è solo racchiusa in quei colpi che spaccano le ossa, ma è anche e soprattutto una ferocia sociale in un terzo mondo che lascia poche opportunità ai ragazzini e alle ragazzine delle campagne; i soldi facili si fanno in due modi diversi: il combattimento o la prostituzione. Entrambe le vie passano attraverso il corpo e la sua mercificazione.
Ma il Muay Thai (combattimento tailandese) è oggi soprattutto uno sport che ha proprio a Lecce uno dei massimi rappresentanti, un ragazzo che si sta preparando a conquistare il titolo mondiale e che allo stesso tempo sta formando un nutrito gruppo di allievi tra i quali Gianluca Siciliani, Stefano Frontini, Daniele Di Bari e Danilo Pinto che hanno ottenuto importanti vittorie in diverse competizioni nazionali della categoria dilettanti.
Sebbene lo sport, come è facile immaginare, segua delle regole e dei principi di natura etica ben differenti dal combattimento antico e da quello praticato ancora oggi in alcune zone della Thailandia, le origini del Muay Boran sono sempre presenti, così come l’istinto violento che è insito in ogni essere umano. La violenza, secondo il parere di chi scrive, esercita sempre un discreto fascino, tanto più forte quanto più è giovane e arrabbiato l’uomo che lo subisce. Nessuna confusione, però, può essere generata sul Muay Thai, che non è uno sport per violenti, né ha lo scopo di risvegliare il lato violento che è in ciascuno di noi. Al contrario esso insegna l’autocontrollo.
“L’arte marziale – spiega Fabio Siciliani – distoglie il ragazzo da futili idee di violenza. Per strada scoppiano delle risse per i motivi più banali e questo accade secondo me perché non si ha il controllo delle proprie paure e non si conoscono i propri limiti. La violenza individuale, è strettamente legata alle nostre paure. Io dico sempre ai miei ragazzi di difendersi solo quando hanno realmente paura e cerco di insegnare loro un principio fondamentale: quello dell’autocontrollo. Un altro discorso vale per la violenza collettiva che si manifesta ad esempio fuori dagli stadi, e che io definisco come un falò di menti leggere. Quei terroristi della domenica, che si nascondono nel gruppo, sono in realtà dei vigliacchi che non hanno argomentazioni né giustificazioni per quello che fanno”.
Chiarito che il Muay Thai non è stupida esaltazione della violenza, si sottolinea che decidere di dedicarsi a questa disciplina non è, comunque, come giocare a golf o a biliardo (sebbene anche nelle sale da biliardo possano volare i cazzotti) ed è per questo che per intraprendere un cammino simile a quello di Fabio Siciliani è necessaria una forte motivazione interiore, una passione vera e probabilmente anche una rabbia che ti brucia dentro e che, in un modo o nell’altro, attende di essere liberata.


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