Tuesday, April 25, 2006

“La Colombia dell’Est si chiama Albania. Il traffico? Mai smesso”

da "il Paese Nuovo" del 25 aprile 2006

Parla il Comandante provinciale Luigi Robusto
“La Colombia dell’Est si chiama Albania. Il traffico? Mai smesso”


“E’ la punta di un iceberg. Se ci sono 266 chili di droga lasciati sulla scogliera significa che ci sono altri milioni di chili di stupefacenti che dall’Albania giungono sulle nostre coste”.
Il comandante provinciale dei Carabinieri, Luigi Robusto, interpreta così il sequestro di droga effettuato la scorsa domenica in località Orte. I trafficanti, spiega, hanno solo selezionato la merce; prima contrabbandavano sigarette, vite umane e droga, ora l’attività criminale è concentrata su quest’ultimo settore, un giro d’affari per milioni, miliardi di euro.
“Questo traffico - dichiara Robusto - sostiene l’economia albanese. Non è un’esagerazione affermare che l’Albania è la Colombia dell’Est”.
Il dubbio che si insinua è che l’Albania non faccia abbastanza per contrastare fenomeni di questo tipo, e che il flusso di droga dal Paese delle Aquile all’Italia non si sia mai arrestato. “Io penso che il traffico di stupefacenti - dichiara Luigi Robusto - non si sia mai veramente interrotto. Ora appare di più perchè non c’è il traffico di vite umane e quindi l’attenzione si concentra di più su questo. Oltre alla droga, poi, non possiamo escludere che le le organizzazioni criminali facciano arrivare in Italia carichi di armi. Certo, non ricordo un sequestro di armi trasportate su un gommone, ma quando scopriamo armi di fabbricazione dell’est nascoste nel Salento possiamo facilmente immaginare quale sia la loro provenienza”.
Armi e droga, quindi transitano dall’Albania verso l’Italia, passando per il Salento e questo nonostante i controlli serrati da parte delle forze dell’ordine, e nonostante il governo italiano e quello albanese abbiano siglato degli accordi bilaterali volti a contrastare fenomeni di questo genere. Si tratta di accordi che interessano le forze dell’ordine di diversi paesi, chiamate a operare in modo sinergico adottando un piano d’azione comune.
Quelle misure, che hanno funzionato per il contrasto all’immigrazione illegale, hanno prodotto esiti positivi contro altri generi di attività criminali e di traffici illeciti (come quello della droga), senza però ottenere gli stessi risultati. Questo, secondo il Colonnello Luigi Robusto, dipende soprattutto dalla difficoltà, da parte dello Stato albanese, di chiudere i rubinetti, ma anche dal fatto che qui in Italia c’è una forte domanda di droga, e cioè ci sono tanti, troppi giovani che la comprano e ne fanno uso.
Non solo, ma nel Salento persistono, secondo Robusto, organizzazioni criminali forti in grado di fare da sponda ai traffici. “C’è sempre un’organizzazione che fa da sponda - dichiara il Comandante dei Carabinieri - e in questa organizzazione non ci sono mai solo cittadini albanesi, semmai la Scu si serve della criminalità albanese. Chi dice che la Scu è stata sgominata - continua - sbaglia, mi dissocio totalmente; se così fosse non esisterebbero i fatti criminosi che ancora vediamo. Probabilmente c’è anche chi continua a comandare da dentro il carcere, come faceva Rogoli”.
La tesi secondo cui il vuoto di potere lasciato da una Scu decapitata avrebbe lasciato il campo libero alle bande provenienti dall’est, quindi, sarebbe tutta da verificare, mentre il fenomeno nuovo sarebbe un altro: “Non ricordo di organizzazioni malavitose tutte albanesi - spiega Robusto - il fatto nuovo è invece che in Albania la criminalità ha cominciato a organizzarsi secondo modelli importati dall’Italia, modelli che hanno esportato i nostri criminali che si sono insediati lì”.
L’aspetto più allarmante di questa problematica riguarda comunqe, secondo Robusto, non tanto le difficoltà che l’Albania incontra nel far rispettare le leggi, o il buon esito o meno degli accordi bilaterali fra quel Paese e l’Italia, nè il fatto che il traffico di droga pesi in modo così significativo nell’economia albanese. Il problema più grande riguarda la nostra società e i nostri giovani, a quello che viene insegnato loro nelle scuole, ma soprattutto a quello che trovano fuori dalle aule, dopo il diploma, nella vita reale: “I Carabinieri - dice Robusto - entrano nelle scuole, dialogano con gli studenti, si pongono nei loro confronti in un modo nuovo, perchè cercano di cancellare degli stereotipi negativi o sbagliati che ruotano spesso intorno alla figura dei tutori dell’ordine. Solo in questo modo si può trasmettere una cultura della legalità. Tutto questo però è inutile se i modelli sociali fuori dalle aule sono improntati sull’illegalità, se un giovane cresce dovendo accettare tanti compromessi, se è costretto a lavorare in nero magari presso un noto avvocato o un noto professionista, se i così detti colletti bianchi, simbolo di una sottocultura dominante, trasmettono modelli che sono il contrario di quelli che cerchiamo di trasmettere nelle scuole”.
Stefano Mele

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