Saturday, April 15, 2006

“I love bucatini all’americana”

da "il Paese Nuovo" del 15 aprile 2006

“I love bucatini all’americana”
L’Italia è sempre più presente nella dieta americana e a New York si beve Negroamaro

Grandi hamburger grondanti di ketchup e maionese, hot dog, salsicce e pancetta affumicata, il tutto mandato giù con grandi sorsi di coca cola. Siamo abituati a immaginarla così la dieta americana, ma una cifra può far cambiare idea: nel 2005 gli Usa hanno importato dall’Italia prodotti alimentari per 2,75 miliardi di dollari: pasta, vino, olio, prosciutti e formaggi della Penisola fanno ormai parte, insomma, della dieta yankee.
L’Italia è tornata così in quinta posizione nella graduatoria dei Paesi che imbandiscono la tavola americana, un risultato straordinario anche perché le esportazioni dall’Italia sono salite nonostante il super-euro, che ha penalizzato l’export in altri settori.
A farla da padrone sono i vini: il nettare italiano, secondo i dati diffusi dall’Istituto per il Commercio Estero di New York, ha registrato un boom nelle esportazioni, con oltre 1 miliardo di dollari, un prodotto largamente apprezzato nonostante l’alto costo rispetto a quello australiano o cileno. Gli americani, insomma, preferiscono la qualità e i prodotti alimentari italiani sono praticamente il “top”.
Anche le esportazioni di olio sono aumentate, del 16,7%. Ammonta a 561 milioni di dollari il volume d’affari per l’Italia proveniente da questo settore, ma si può fare di più, visto che Spagna e Grecia hanno aumentato del 20% le loro esportazioni di olio e la Turchia ha registrato un + 101%. La vera concorrenza spietata, però è quella argentina, un paese che gode di condizioni climatiche adatte alla coltivazione dell’ulivo ed è in grado di vendere il prodotto finale a un prezzo ben inferiore rispetto a quello italiano.
Esportiamo poco formaggi e pasta, che insieme raggiungono i 377 milioni di dollari, ma mentre gli spaghetti italiani registrano un lieve aumento rispetto al 2004, per il formaggio c’è addirittura un calo di 4 milioni di dollari. Questione di gusti? Probabilmente incidono anche le imitazioni a basso costo del Parmigiano, da sempre leader in questo settore.
A diffondere la nostra cultura alimentare all’estero sono soprattutto i ristoranti e le pizzerie all’italiana, vero cavallo di troia dell’industria agroalimentare del bel paese, ma sembrano contribuire in modo determinante anche gli eventi culturali volti a far conoscere le tradizioni italiane all’estero, eventi che sempre più spesso diventano vetrina per i nostri prodotti, vino e olio in testa. L’aspetto singolare è che le pietanze della cucina “povera” italiana sono negli States sciccherie da gran signori.
Qualche esempio? Una pizza margherita può costare 14 dollari; per 55 dollari, invece, è possibile gustare una porzione di ravioli al tartufo; un kit composto da una bottiglia di olio d’oliva, sale della Sicilia (di Trapani per la precisione) e aceto balsamico può costare la bellezza di 120 dollari, ma ci sono anche le soluzioni più economiche, come quelle proposte dall’osteria “Il Mosto”, a Manhattan, dove un piatto di penne all’arrabbiata lo vendono e meno di nove dollari e dove un vino rosso del Salento, Tenuta Fossalta, si compra a 21 dollari, mentre con un dollaro in più è possibile accompagnare il pasto con un Negro Amaro Salento Caleo: “Cherry-Berry like flavor rich in color” (dal colore ricco e con un sapore fruttato alla ciliegia) si legge sul menù.
Anche il Salento si lancia alla conquista della tavola americana, e mentre a Lecce trionfa la Mc Donald mania, il nostro vino vola alla conquista di New York, dove è presente in molti ristoranti dove Primitivo, Negroamaro e Salice salentino sono inclusi nel menù insieme ad altri vini italiani la cui presenza sul mercato americano è ormai consolidata: il Brunello di Montalcino si vende anche a 98 dollari la bottiglia, mentre i vini nostrani, così come quelli siciliani (come il Nero d’Avola) sono alla portata di tutte le tasche, dunque aspirano a diventare una merce di largo consumo.
Anche in questo settore Argentina e Cile sono un diretto concorrente dell’Italia, essendo Paesi che da alcuni anni a questa parte producono vini di qualità a prezzi competitivi. Capiterà così, se siete a pranzo a New York, di sedervi in uno dei tanti ristoranti all’italiana e di gustare un ottimo vino cileno, che ben si sposa con la salsiccia calabrese. Miracoli della globalizzazione.

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