“...Un luogo brulicante di gente e riecheggiante dei versi di pescivendoli e verdurai, un luogo unico e tipico della nostra città dove una moltitudine di massaie leccesi si recava giornalmente per la classica spesa (...) era un continuo andirivieni da un banco all’altro, da un box all’altro, fino a che non si riusciva a trovare ciò che si desiderava. ..” da “Il Grande Gelso. Lecce anni ‘50 attraverso ricordi e immagini” di Giuseppe De Simone
Disseminati fra vari depositi comunali i pezzi dell’antica tettoia che copriva “la chiazza”
Stravaccata fra l’erba, al pari di un ferro vecchio senza valore, giace, nel deposito comunale “Sorriso”, in via Costadura, la gloriosa tettoia in stile Liberty, che dal 4 dicembre 1898 fino al 1981, ha fatto bella mostra di se in viale Marconi, addossata alle mura del Castello. A lasciarla in eredità ai Leccesi fu il sindaco Giuseppe Pellegrino, avvocato, giornalista, in seguito anche deputato, probabilmente l’amministratore più illuminato che la città ricordi.

L’opera, molto simile alla struttura che ancora oggi si può ammirare nella stazione ferroviaria di Lecce, fu costruita dalla stessa ditta che, secondo alcuni, realizzò dei componenti del ponte di Brooklyn, e divenne, insieme al tram elettrico che collegava Lecce a San Cataldo, uno dei gioielli della città, simbolo di un’epoca, quella precedente alla Grande guerra, che anche Lecce probabilmente viveva come l’inizio di una nuova era.
Il trisnonno di chi scrive aveva, negli anni ‘10 del 900, un chiosco per la vendita dell’acqua, che prelevava da un grosso serbatoio di zinco. Ai numerosi avventori del mercato, Oronzo Mele, “lu tamburrieddhru” , forniva refrigerio nelle calde giornate estive, con granite che costavano circa 20 centesimi. Nelle foto d’epoca il chiosco è immediatamente riconoscibile, perchè è una struttura a se stante rispetto alla tettoia, posizionata in prossimità della fontanella che ancora oggi si trova su quel marciapiede, proprio vicino ai bagni pubblici.
La “chiazza cuperta” era un brulicare di anime, un mercato molto grande che non si limitava alla sola area coperta dalla tettoia, ma si estendeva nelle zone limitrofe dove i commercianti, da Lecce e provincia, esponevano merci di vario genere: scarpe, stoffe, carbone, ma anche piante e fiori, spezie e arnesi di ogni tipo.

Così Giuseppe De Simone ricorda quel luogo, nel suo libro (Il Grande Gelso): “Lungo tutti e quattro i lati della struttura Liberty vi erano numerosi box di vendita (macellerie, salumerie, panetterie, drogherie), nella fascia centrale, invece, si trovavano i banchi adibiti alla vendita di verdura e frutta. Inoltre, tutti da un lato, vi erano dei lunghi banchi in muratura, completamente rivestiti di piastrelle smaltate di colore bianco e forniti di acqua corrente, utilizzati per la vendita di frutti di mare”.
Sono certo che chi ha l’età per ricordare deve solo chiudere gli occhi per rivederli tutti lì: “lu Pippi zeppu (così ribattezzato per l’andatura claudicante) e la Nnina delle cozze”, Vincenzino Amato con i suoi “sanguinazzi” (sanguinacci) la salumeria Renna e quella “dellu Peu”. Chi ha un’età più avanzata potrà ricordare anche “lu pirèca”, “lu Mmelu sagna” il gelataio, “lu mesciu peppu carrozzieri”, “lu Ronzu babbu te li anelli” e via discorrendo.
Giuseppe De Gaetano, nipote di quel Giuseppe De Gaetano (“Pippi zeppu”) e figlio di “Ginone” (Luigi) De Gaetano, ancora oggi fa lo stesso lavoro tramandato da tre generazioni, il suo è l’ultimo box in fondo al mercato di Settelacquare, una sede provvisoria che i commercianti non hanno mai amato. Nel 1978 il sindaco Salvatore Meleleo dispose la demolizione della tettoia liberty, come testimonia un’epigrafe marmorea affissa su una parete del Castello di Carlo V. “Io ricordo perfettamente le sue parole - racconta De Gaetano:
La fase di smontaggio della struttura, invece, terminò nel 1982, i grossi pali furono inviati a Vicenza per il restauro, con un costo di circa 350 milioni di lire, mentre i commercianti furono trasferiti in quella sede provvisoria, fatta di lamiere, in Piazza Libertini, che invece ospitò il mercato fino a tempi recentissimi, fino a quando, cioè, “baracche e burattini” non sono stati spostati nell’attuale sede di Settelacquare, “alla periferia di Lecce!”, commenta Giuseppe De Gaetano . La promessa, però, (e a volte la questione ritorna) era quella di erigere nuovamente la tettoia nell’area di Santa Maria del Tempio, poi “Caserma Tempio” e successivamente “Caserma Massa”, sulle ceneri dei due chiostri cinquecenteschi, fatti demolire nel 1971 dall’amministrazione allora guidata dal sindaco Salvatore Capilungo (Dc). Ora è il regno delle giostrine, dei panini con il wurstel e dei parcheggiatori abusivi.
Nella nuova sede del mercato, rispetto ai tempi della tettoia Liberty, è tutto diverso, fatta eccezione per gli antichi banconi dove ancora oggi sono appoggiate le casse di frutta e verdura. Sotto quei banchi, in ferro battuto e marmo, c’era anche chi, nella prima metà del 900, ci dormiva, per guadagnarsi così la postazione di vendita migliore. E così, dormiente, è oggi la struttura, smontata e dilaniata, sparsa un po’ qua un po’ là fra i depositi comunali. La generazione di chi scrive non può neanche ricordarla, solo fantasticare guardando le vecchie foto o affidandosi al racconto di chi c’era, e continuando a fantasticare viene in mente ciò che forse avrebbe detto oggi Giuseppe Pellegrino davanti a questo affronto: “questa città ormai sta con Fazzi”.
Stefano Mele
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